Baia delle Orte

Baia delle Orte, nome che deriva dal termine “ortor”, punto in cui “sorge il sole”, un manto di acqua che orla una scogliera bassa, su cui crescono cespugli, fiori, piante aromatiche, a cui si accede dopo aver attraversato un sentiero che si inerpica in una pineta e la macchia mediterranea stessa. La costa è rocciosa, ma la scogliera bassa rende facile l’accesso diretto al mare, ed è l’ideale per gli amanti della natura più selvaggia, dell’isolamento e della pace dei sensi. Basta spostarsi e arrampicarsi tra le rocce, infatti, per raggiungere piccoli anfratti e calette del tutto spopolate, stendere l’asciugamano, chiudere gli occhi e lasciarsi trascinare solo dai profumi, dalla sensazione del sole che riscalda la pelle, rinfrescandosi con un tuffo non appena si ha voglia.

Tra le particolarità della baia, il fatto di essere raggiunta da correnti fredde, frutto dell’intersezione delle acque con delle bolle di acqua dolce, come il Fiume d’oro e Fontana, oltre ad avere una fauna marina di grande rilevanza. Proprio per questo motivo la località è amatissima da coloro che sono avvezzi allo snorkeling e amano praticarlo in zone dedicate e selvagge.

La baia, fuori dalle logiche degli stabilimenti balneari, da lettini e ombrelloni, musica di sottofondo o ad alto volume, è un’oasi di pace e relax, da cui ammirare nelle giornate più limpide le vette dei Balcani, solo rivolgendo lo sguardo all’orizzonte.

Nelle vicinanze svetta la rinomata Torre del Serpe, baluardo difensivo delle coste noto per essere dedicato proprio a un serpente, guadagnatosi onori tanto da denominarne una torre proprio perchè, secondo una leggenda, durante le scorribande saracene bevve l’olio che alimentava la fiamma del faro, spegnendo il tutto lasciando tutti disorientati.

Nelle vicinanze della baia sorge un laghetto molto caratteristico e molto noto, che ha origine in un’ex cava di bauxite ormai dismessa, che ha fatto sì che l’acqua avesse un color smeraldo intenso, ricco di sfumature dalla grande bellezza. Siamo anche nelle vicinanze del faro di Punta Palascia, segno che siamo nel punto più orientale di tutta Italia.

Faro della Palascia

Affascinante e suggestivo scorcio situato a circa 40 km da Lecce, il Faro di Punta Palascia è il luogo più a est dell’Italia e rappresenta un punto di rara bellezza naturalistica: da qui si può osservare un’alba meravigliosa che si “nasce” dal mare, con il cielo stellato per un panorama suggestivo.

Il Faro è una meravigliosa struttura architettonica, recentemente ristrutturata e tutelata dalla Commissione Europea, che rappresenta il simbolo di Capo D’Otranto; grazie all’interesse della Comunità Europea per questo luogo ameno, è stato costruito, a poca distanza dal Faro, un Museo Multimediale del mare che consente ai visitatori di scoprire la fauna e flora tipica del luogo.

Dalla terrazza del Faro, luogo intimo e magico, si può godere di un panorama spettacolare, costituito dal faro che spicca in mezzo alle rocce e sovrasta l’infinita distesa cristallina del mare, nel punto in cui si incontrano mar Ionio e mar Adriatico e tutto intorno una fitta vegetazione variegata.

Molto caratteristico è visitare il Faro nella Notte di San Silvestro per assistere alla prima alba dell’anno sulla penisola italiana; in estate è molto frequentato da turisti, mentre in inverno il luogo, poco affollato, presenta un’atmosfera ancor più magica.

Il Faro è anche un luogo di interesse archeologico, poiché costituisce il punto di accesso alla “Grotta dei Cervi”, insenatura naturale costiera nonché importante testimonianza del neolitico.

Si tratta di una meta ambita da amanti del trekking e delle passeggiate in mezzo alla natura, circondati da profumi avvolgenti e colori intensi: infatti per raggiungere il Faro, si attraversano scogliere a picco sul mare e campi ricchi di vegetazione, per un percorso che vi lascerà affascinati e stupiti.

Otranto

Otranto è la città d’Italia posizionata più ad Est, una particolare condizione topografica che le ha portato notevoli vantaggi ma anche svantaggi, nel corso dei secoli. Recenti scoperte archeologiche testimoniano che Otranto conserva alcune tra le più primitive testimonianze di rapporti con le popolazioni dell’area egea.

Tracce di insediamenti, che risalgono ad un periodo che va dal XIII al XI d.C., sono state rinvenute nei pressi della chiesetta di San Pietro nel pieno centro storico della città. La posizione, prettamente favorevole per gli scambi commerciali, ha permesso ad Otranto il contatto con il mondo ellenico e questo ha comportato una evoluzione più rapida del popolo talentino. Ne è prova l’importante ipogeo delle Cariatidi di Vaste risalente alla seconda metà del IV secolo a.C.

L’origine del nome della città di Otranto affonda le sue radici in tempi molto lontani. Secondo alcuni deriva da Hydruntum, un fiumicello che attraversa la Valle dell’ Idro, secondo altri invece il nome deriva da Odronto, che in passato indicava un’altura a ridosso del porto.

Notizie più certe sull’origine del nome della città si hanno però con Hydruntum, nel periodo romano, con lo sviluppo e il successivo consolidamento del Cristianesimo, testimoniato dalle numerose cellette presenti nella Valle delle Memorie e nella Valle dell’Idro. Diverse comunità monastiche frequentavano queste cellette, che sono delle grotte di forma rettangolare scavate nelle pareti delle valli.

Durante la fine del VI secolo, nel Salento, si ebbe un ribaltamento delle gerarchie e un cambiamento della viabilità a livello territoriale, che fece risultare Otranto a capo di un asse che prosegue con Lecce, Oria e Taranto. Questo nuovo asse riprendeva un antichissimo percorso messapico che portò alla città un sostanziale miglioramento nelle vie di comunicazione con la Calabria. Questo nuovo schema di comunicazione causò però anche l’esclusione di alcuni centri nel Mezzogiorno e di Brindisi, determinandone un rapido decadimento. In quegli stessi anni la città di Otranto fu dotata di un eccezionale muro di cinta e di circa 100 torri a base quadrangolare disseminate lungo la costa.

Durante la dominazione bizantina Otranto conobbe un ulteriore periodo di trionfo con la costruzione della chiesa di San Pietro, edificata nel X secolo. Alla fine dell’XI secolo invece, venne edificata l’Abbazia di San Nicola di Casole, che divenne il più importante centro del monachesimo italo-greco in Puglia e, tra il 1347 e il 1438, il monastero più ricco dell’Italia meridionale. E’ proprio qui, nella ricchissima biblioteca dell’Abbazia, che furono rinvenuti numerosi codici a dimostrazione dei profondi legami della Puglia con l’Oriente.

Nell’XI secolo i Normanni e i loro alleati avevano conquistato una buona parte della Puglia, e solo Taranto, Brindisi e Otranto rimanevano fedeli ai Bizantini. Nel 1064 però, Otranto cadde nelle mani dei nuovi dominatori, i quali non furono da meno rispetto ai loro predecessori, in quanto a modifiche ed innovazioni. Durante il loro dominio infatti, ridefinirono le strutture difensive, sia per quanto riguarda il Castello che le mura. Nel 1088 Otranto assistette alla consacrazione della Cattedrale e, circa un secolo dopo, venne completato il famoso mosaico pavimentale di Pantaleone.

Durante gli anni della dominazione normanna, il porto di Otranto ospitò in varie circostanze i cavalieri delle Crociate. Nel 1256 un importante documento proveniente dal Papa, autorizzava gli otrantini alla costruzione e alla riparazione delle mura e delle torri, e all’armamento del porto. Nel successivo dominio angioino, i continui restauri del Castello, testimoniavano come la città di Otranto diventava sempre più ambita e prestigiosa.

Nel 1447 Otranto contava più di 1200 abitanti, dimostrando così, di essere una delle città più popolate della Terra d’ Otranto. Il 28 luglio 1480 una flotta Turca composta da 150 imbarcazioni e 18.000 uomini sbarcò nei pressi dei Laghi Alimini, conquistando nel giro di un giorno l’intera città. Otranto, che in quel periodo contava circa 6.000 abitanti, non potè resistere a lungo, e l’ 11 agosto il nemico riuscì ad entrale nel Castello.

Lo stesso giorno i turchi fecero irruzione nella Cattedrale ed uccisero barbaramente l’anziano arcivescovo Stefano Agricoli. Il giorno 12 agosto, circa 800 otrantini che si erano opposti alla conversione Islamica, furono crudelmente massacrati sul Colle della Minerva. Da quel momento in poi i turchi divennero padroni di Otranto, ed indisturbati seminarono terrore e morte per quasi tutta la Puglia. Gli Aragonesi si resero conto del pericolo che rappresentava tale occupazione, e nella primavera del 1482, con l’aiuto degli Stati Italiani, attaccarono il popolo straniero via terra e via mare. Il 23 agosto i turchi subirono un violentissimo attacco che provocò notevoli perdite umane, e il 10 settembre del 1481 restituirono la città, ridotta ormai ad un cumulo di macerie e con una popolazione residua di appena 300 anime.

La ricostruzione e la rinascita di Otranto

L’assedio di Otranto da parte dei turchi ridusse la città in pessime condizioni: il commercio era distrutto, la Cattedrale di Otranto e il Monastero di Casole erano devastati, la popolazione decimata. Questo fu il triste scenario che si presentò al Duca di Calabria, il quale diede vita ad una imponente opera di ricostruzione della Cattedrale e, dal 1485, anche del Castello e delle mura di cinta. L’ ingresso alla città fu rinforzato da due torri circolari chiamate Alfonsine, e su di esse furono poste due iscrizioni commemorative.

Sul colle della Minerva, dove avvenne la strage dei Martiri, fu costruito un tempio dedicato a Santa Maria dei Martiri e si ricostruirono i conventi di San Francesco dei Domenicani e degli Osservanti. Ancora oggi nella Cattedrale di Otranto, sono conservate le reliquie degli 800 Martiri tragicamente massacrati nell’estate del 1480.

Baia del Mulino d’acqua

La Baia del Mulino d’Acqua ad Otranto si chiama così perchè un tempo lì c’era davvero un mulino, che funzionava proprio grazie alla presenza dell’acqua. Un nome insomma che “ha un suo perchè”, anche se oggi il mulino non esiste più, ed è rimasto solamente questo suggestivo ed evocativo nome.

La Baia del Mulino d’Acqua a Otranto è uno di quei luoghi segreti di cui poche persone parlano perché vorrebbero rimanesse segreto il più possibile. Nascosto alle spalle di una roccia, questa baia è un angolo di paradiso e quando si accede da un foro lungo una parete rocciosa, ci si ritrova in un posto mai visto che sembra quasi di essere nel film The Beach.

La spiaggia di sabbia bianca è protetta da rocce da cui sgorgano cascatine e ruscelli che con il tempo hanno trasformato tutto in un piccolo angolo di paradiso, mentre costeggiando via mare la roccia, si nuota davvero pochissimo, si può raggiungere una grotta incredibilmente bella, il cui soffitto è forato creando uno spazio che sembra quasi una cappella segreta in cui isolarsi per trovare pace ed equilibrio.

Baia dei Turchi

Baia dei Turchi, gioiello naturalistico di Otranto. Pare sia proprio la Baia dei Turchi il punto di terraferma su cui sbarcarono i terribili e spietati Ottomani nel 1480. Assetati di sangue, assediarono Otranto per tagliare le teste degli idruntini, circa 800, che oggi sono venerati come Santi Martiri e le cui ossa si possono vedere nelle teche di una cappella a loro dedicata, nella stupenda cattedrale di Otranto, cittadina che dà il nome al Canale, vero punto di incontro tra i due mari Adriatico e Ionio, tra l’altro uno dei borghi più belli d`Italia.

Il mare pulito e la roccia friabile che corre fino alla strada facendosi sovrastare dalla natura rigogliosa della pineta e della macchia mediterranea, sono le caratteristiche che rendono unico il paesaggio della Baia dei Turchi, uno dei tratti più suggestivi del litorale di Otranto, con la spiaggia riparata e isolata che rende lo scenario incantevole.

La Baia dei Turchi è annoverata tra i Luoghi del Cuore del FAI (Fondo Ambiente Italiano). Oggi il territorio della baia rientra nell’Oasi protetta dei Laghi Alimini, un`area che viene classificata come Sito di importanza comunitaria per via del presente ecosistema, uno dei più importanti di Puglia.

La Baia dei Turchi è uno dei tantissimi luoghi d’incanto che puoi scoprire durante le tue vacanze in Puglia nel Salento. Per vivere al massimo il tuo soggiorno, scegli una delle nostre più belle ville di lusso a Otranto, oppure dai un’occhiata alla nostra ricca offerte e last minute Otranto.

Alimini

Ogni anno sono sempre di più le persone ed i turisti che scoprono le bellezze naturalistiche e paesaggistiche del Salento.

In Puglia, infatti, sono numerose le aree naturali protette (estese per 245.154,33 ettari), per la maggior parte situate all’interno di parchi nazionali. Anche se le aree protette si trovano per la maggior parte all’interno delle province di Foggia e di Bari, l’intero Salento offre al turista la possibilità di praticare innumerevoli itinerari che coniugano storia e natura, in luoghi solo parzialmente conosciuti al grande pubblico.

Nella provincia di Lecce una delle aree naturali protette più conosciute è l’Oasi di Protezione Faunistica Alimini.

Oasi è uno dei luoghi naturali più rinomati dell’intera regione del Salento, in quanto il suo ecosistema è definito ZPS (Zona di Protezione Speciale) dato che ospita numerose specie sia animali che vegetali. Anche per questo è stata proposta come SIC (Sito di Importanza Comunitaria) di livello europeo.

L’oasi si trova vicino ad Otranto, in direzione nord, e si caratterizza per l’esistenza di due bacini, circondati da una lussureggiante vegetazione, e chiamati rispettivamente Alimini Grande ed Alimini Piccolo (detto anche Alimini Fontanelle). I due bacini lacustri sono collegati tra loro da un canale (Lu Strittu) e contribuiscono a produrre un microclima caldo-umido nella zona.

Il lago Alimini Grande è un bacino lagunare che si è generato quando, a causa dalla continua erosione del mare, un’antica insenatura venne chiusa. Ha una lunghezza di 2,5 chilometri per una profondità massima all’incirca di 4 metri. Circondato quasi interamente da una cintura rocciosa, ha un orientamento parallelo alla costa e si estende da Otranto verso San Cataldo di Lecce.

Alimini Grande sorge a 8 chilometri di distanza da Otranto, nei pressi dell’antico tracciato della via Salentina. Il lago è uno dei punti di sosta e di svernamento più importanti per la migrazione degli uccelli e per la avifauna acquatica. Per questo l’area naturale riveste una primaria importanza per i naturalisti e per gli appassionati di birdwatching.

Il bacino è circondato dalla macchia mediterranea e dalle pinete (costituite da pini d’Aleppo). La vegetazione reca anche numerosi esemplari di quercia spinosa, una specie molto rara e che in Italia si trova soltanto nella Puglia centro-meridionale. Altri esemplari della flora locale sono la camomilla d’Otranto e le gariche ad erica pugliese. Proprio per questo la vegetazione viene definita alofila ed habitat di interesse prioritario.

Il tratto più settentrionale del bacino dell’Alimini Grande è stato denominato Palude Traguano: si caratterizza per la bassa profondità e per le rive ed il fondo sabbiosi. Nelle sue vicinanze vi sono numerose sorgenti, che alimentano (insieme al mare) il bacino lacustre. La sorgente più importante e dotata di una portata maggiore è la Zudrea. Proprio per l’apporto di acque da parte del mare (che vi confluisce) Alimini Grande ha una percentuale di salinità quasi pari a quella del mare. I fondali sono molto ricchi di molluschi, tra cui riveste molta importanza la Ruppia marittima.

Il Lago Alimini Piccolo o Fontanelle, invece, risulta un laghetto alimentato da numerose polle sorgive e sorgenti di acqua dolce sotterranee. L’apporto d’acqua proviene sia dalla falda freatica del canale Rio Grande (a sua volta alimentato dalle numerose sorgenti che costellano la vicina Serra di Montevergine) che da polle minori.

Proprio da questo deriva il soprannome Fontanelle. La sua lunghezza è di soli due chilometri con una profondità massima di un metro e mezzo. Si caratterizza per le sue sponde basse e pianeggianti e per il cambiamento del livello di salinità delle acque a seconda della stagione. Infatti, per quasi tutto l’anno il lago è di acqua dolce, ma durante l’estate, quando l’evaporazione è maggiore, le acque del lago Alimini Piccolo tendono a diventare saline.

Tra la fauna sono molto presenti le specie di uccelli sia migratori che stanziali. La riserva, infatti, è luogo di sosta per le cicogne bianche, le gru, i fenicotteri e diverse specie di oche selvatiche e di cigni. Tra gli uccelli acquatici stanziali, invece, troviamo i germani reali, le folaghe, gli svassi, le spatole, le marzaiole, i cavalieri d’Italia e le gallinelle d’acqua. Nell’area di protezione faunistica vivono anche numerose specie di rapaci, tra cui le albanelle, i gheppi, i falchi di palude, i falchi pellegrini, i nibbi, le poiane, le aquile del Bonelli e le aquile imperiali.

Tra i rapaci notturni invece sono rappresentati i gufi reali, le civette, gli allocchi, i gufi comuni ed i barbagianni. Questo vale per le specie che vivono sui laghi e nei loro pressi, mentre nei boschi circostanti la fauna è costituita da picchi, fringuelli, merli, fagiani, tordi, quaglie, storni, usignoli e scriccioli.

Frassanito

A meno di dieci chilometri da Borgagne si raggiunge la località Frassanito, che si trova in prossimità del lago Alimini Grande.

L’area è una riserva naturale ricca di macchia mediterranea, dune di sabbia e pinete. Il lago ha una lunghezza di 2,5 chilometri e lo “Strittu” è il canale che mantiene la comunicazione con Alimini Piccolo.

Di notevole importanza naturalistica, questo territorio rappresenta una meta molto apprezzata, grazie ai servizi e alle strutture ricettive disponibili. La costa di Frassanito si caratterizza per le falesie che cadono a strapiombo nelle acque limpide del mare.

I profumi e i colori della natura assicurano suggestivi panorami, per delle vacanze da non dimenticare.

Conca Specchiulla

A pochi chilometri a est di Borgagne e poco più a sud delle coste di Sant’Andrea, frazione di Melendugno, sorge Conca Specchiulla, località prettamente turistica appartenente al comune di Otranto.

Conosciuta anche solo come Specchiulla, questa località è caratterizzata da piccole insenature sabbiose vicine all’alta costa rocciosa. Le sue acque turchesi e il crescente turismo sempre in aumento hanno permesso a Conca Specchiulla di essere sempre più abitate da strutture ricettive di diverso tipo.

Sebbene si tratti di un piccolo tratto di mare, la spiaggia di Conca Specchiulla resta affascinante proprio grazie alla sua natura selvaggia, nella quale si fondono alla perfezione una delle più belle espressioni dell’Adriatico e il verde delle circostanti pinete. Refrigerarsi in una delle baie lì presenti, lontane dalla frenesia e dal turismo di massa delle località vicine, permette di godere di un angolo verace di Salento, nel quale l’unico vero protagonista sembra proprio essere il mare, che avvolge e coccola il turista.

Posto giusto per gli amanti del mare e degli arrangiamenti più spartani, si consiglia di visitare le cale muniti di asciugamano e scarpe in gomma. Difficile da raggiungere, Conca Specchiulla può essere considerata quasi come una spiaggia elitaria, per pochi.

La fatica per raggiungere la sua spiaggia sarà ampiamente ripagata non appena arrivati a destinazione: la vista del mare limpido e trasparente e dalla sua spiaggia di sabbia bianca incontaminata faranno dimenticare il percorso appena compiuto.

La vista non sarà l’unico senso appagato: a Conca Specchiulla l’Adriatico si fonde alla perfezione con il verde circostante, da cui viene sprigionato un piacevole profumo di brughiera e piante aromatiche del bosco.

Trascorrere del tempo in questa località è un benestare assoluto. Dopo la giornata tra le insenature di questo posto, inoltre, si consiglia la visita ai vicini laghi Alimini, l’ennesima perla del territorio otrantino.

Sant’Andrea

La marina di Torre Sant’Andrea è una località posta al confine meridionale del comune di Melendugno, costituita da una caletta che interrompe una lunga scogliera, tra Torre dell’Orso e Frassanito. Già nel nome, Torre Sant’Andrea presenta la sua duplice natura: luogo di culto prima e torre di avvistamento poi.

In questo porticciolo, sin dall’origine, esiste un sito rupestre, ben visibile anche in un’interessante carta topografica del 1850 che raffigura tutta la rada di Sant’Andrea.

All’inizio del Basso Medioevo risale una chiesa dedicata a Sant’Andrea, con molta probabilità di rito greco. Già in età normanna, però, nel XII secolo, il casale di Sant’Andrea venne affidato al monastero femminile benedettino di S. Giovanni Evangelista di Lecce. Questa donazione rientrava nel progetto dei Normanni di limitare lo strapotere del rito greco nel Salento, a favore di quello latino.

Il sito compare in un documento del 1344 come luogo di pesca, una vocazione che ha mantenuto fin ad oggi. La piccola chiesa era ancora presente nella seconda metà del Seicento, e si celebravano le messe per i pescatori del posto. Purtroppo oggi di questo luogo di culto non è rimasta nessuna evidenza.

La località di Sant’Andrea è sempre stata al confine tra il territorio otrantino e quello di Roca ed ancora oggi la marina è per metà del comune di Melendugno e per metà del comune di Otranto.

Inoltre, un antico stretto legame unisce Sant’Andrea a Borgagne, la più vicina località dell’entroterra: nella Chiesa Madre di Borgagne erano custodite le reliquie di S. Andrea, per esempio, e quando nel 1578 venne armata la torre di Sant’Andrea, fu il sindaco di Borgagne a farlo.

Infine, si deve sottolineare che sull’altra sponda dell’Adriatico, sulla costa albanese, vi è una caletta dal nome Shën Andreu (S. Andrea), alle spalle della quale si erge un promontorio con una chiesetta medievale omonima, a sostegno di una coincidenza toponomastica tra le marine di Melendugno e le baie del Karaburun (sull’argomento vedi Da Torre dell’Orso alla Baia dell’Orso: una rotta adriatica millenaria).

Torre dell’Orso

Nel Comune di Melendugno, nell’omonima località, si erge Torre dell’Orso a circa 20 metri dal mare e a un’altitudine di 16 metri. Il rudere è stato recuperato ed è in attesa di ulteriore restauro.

Torre dell’Orso fu edificata a picco sul mare, su di un alto sperone roccioso che poi si arresta bruscamente per lasciare posto alla meravigliosa baia sabbiosa che caratterizza l’omonima località balneare. In un luogo difficilmente controllabile da altre posizioni, la torre comunicava visivamente a sud con Torre Sant’Andrea, oggi scomparsa, e a nord con la gemella Torre Roca Vecchia. Al di sotto della torre, nella tenera pietra del costone roccioso, si aprono diverse cavità, che costituiscono un sito rupestre frequentato fin dall’antichità.

Non vi sono certezze riguardo l’origine del nome. Esistono però diverse ipotesi: forse Orso sarebbe da ricondurre a Urso, cognome del probabile proprietario dell’agro nell’antichità. Stando ad un’altra interpretazione, avendo le torri costiere nomi di santi, il suo nome doveva essere Torre di Sant’Orsola, da cui Torre dell’Orso. Altra ipotesi del toponimo è data dal fatto che sotto la torre vi sia una roccia che rappresenta il profilo di un orso. Guardando la spiaggia, con la torre alla propria sinistra, si nota una formazione rocciosa raffigurante il profilo di un orso. L’erosione ha, nel corso dei decenni, modificato tale sembianza ma è tuttora visibile.

La Storia

Nella cartografia antica la torre è indicata a partire dal XVI secolo, inizialmente come “Torre del Porto dell’Orso”, successivamente come “Torre dell’Urso”, poi “Torre del Capo Dorso”, infine “Torre dell’Orso”. Risultava esistente negli Elenchi del Viceré del 1569.

La costruzione fu affidata al maestro leccese Giovanni Tommaso Garrapa. A testimonianza di questo vi è un documento del 27 settembre 1567, in cui si registra che egli ricevette cento ducati per la costruzione della torre. L’opera subì un brusco arresto a causa della sua improvvisa morte. I lavori furono portati a termine successivamente da Angelo Garrapa, fratello di Tommaso. Esiste un documento che dimostra come il povero Angelo stesse ancora cercando di riscuotere il saldo dei lavori conclusi il 12 dicembre 1580. Egli riuscì a recuperare dalla Regia Camera il credito solo nel 1583. Il procuratore dell’Universitas di Borgagne, Bartolomeo Petruzzo, ricevette il compito di armare la torre. Risultava abbandonata nel XIX Secolo perché in cattive condizioni.

Nell’ottobre 2020, la Regione Puglia riconobbe un contributo per la manutenzione straordinaria, il restauro e la messa in sicurezza della torre e anche il sindaco annunciò che il comune avrebbe contribuito.

La Struttura

Torre dell’Orso rientra nella categoria di torri tipiche del Regno. L’importante rudere della torre, danneggiato dall’erosione degli agenti atmosferici, ha subito un vistoso crollo in spigolo monte-sud che ci permette di osservare la volta interna del piano agibile. Esistono ancora tracce delle caditoie, queste erano originariamente tre per ogni lato, ricavate in spessore di muro e si distinguevano bene nel corpo quadrangolare scarpato della torre. Fu costruita in conci regolari di tufo tenero. Su un lato della muratura si nota ancora una feritoia. Foto d’epoca ci dimostrano come alcuni vistosi crolli siano avvenuti nel corso del Novecento.

© 2023 - SoleMare - Tutti i diritti riservati.

Translate »